Pierluigi Collina e l'autorità perduta
Calcio, Società

Pierluigi Collina e l’autorità perduta

Gli anni più recenti di questo maledetto Ventunesimo secolo sono stati funestati da una lunga serie di disastri sociali e culturali. In cima, o nelle più alte vette di questa obesa collina ricolma di degrado, spicca la totale mancanza di rispetto e di fiducia nei confronti dell’autorità. Un’autorità assoluta, trasversale a qualunque realtà politica, lavorativa, ludica e d’intrattenimento.

Nel Ventunesimo secolo l’autorità è costante soggetto di critiche quotidiane, spesso con termini e metodi decisamente non concessi dalla società civile e dall’educazione. Il politico è inaffidabile e va tenuto alla larga, spesso è ladro, o figlio di meretrice, o se di sesso femminile meretrice stessa. L’insegnante irrispettoso e non comprensivo nei confronti del povero innocente figliolo, che è tutto fuorché un teppistello, ma tira i cancellini e non studia una mazza.

Infine, ma la lista potrebbe essere ancora più lunga, il massimo simbolo dell’autorità nella società contemporanea: l’arbitro.

Riguardo filmati d’epoca, del lontano Ventesimo secolo, e di tanto in tanto scorgo qualche protesta di giocatori e tifosi all’indirizzo degli arbitri. Proteste blande, signorili, richieste di spiegazioni quasi firmate in carta bollata rispetto a ciò che vediamo oggi su qualunque campo di calcio. Erano tempi in cui era concepito l’errore. E chi non lo accettava manifestava disappunto a modo suo: come Michel ‘Le Roi‘ Platini.

Ho scelto il simbolo dell’arbitro per parlare un po’ di autorità nel Ventunesimo secolo, e sono riuscito a trovare una data fatidica in cui il mondo intero si è accorto che dell’autorità è meglio non fidarsi, e allo stesso tempo chiunque di noi può essere autorità: il 29 agosto 2005. Immagino una giornata calda d’estate, e il sole a picco che si riflette sulla testa pelata di un uomo di mezza età che una settimana prima ha finito di dirigere un’inutile gara di Coppa Italia, in uno stadio semideserto della Pianura Padana.

Pierluigi Collina, dopo 28 anni di onorevole servizio, si ritira dal calcio arbitrato, e quel giorno l’ultimo simbolo di un’autorità ormai decadente agli occhi della società, abdica a favore di una serie di volti più o meno noti, che non sapevano cosa li avrebbe aspettati: una lente d’ingrandimento che ne avrebbe osservato ogni mossa, ogni microespressione, ogni errore, per metterli alla gogna mediatica.

Pierluigi Collina non solo è uno degli ultimi rappresentanti di un calcio che non c’è più, ma la sua sembra quasi una rassegnazione, un gettare la spugna. Di fronte a inutili polemiche, ad accuse, a proteste fuori luogo, immagino le sue rughe d’espressione farsi sempre più contrite e, infine, la consegna di taccuino e fischietto come fossero pistola e distintivo di un detective che è troppo vecchio per continuare a inseguire i criminali. E va in pensione.

L’autorità degli arbitri, costantemente messa in dubbio da milioni di italiani e decine di programmi televisivi, verrà presto affiancata dalla più affidabile tecnologia: la VAR, una sorta di moviola in campo facilmente consultabile dal direttore di gara. La direttiva sembra tracciata, e non è un’utopia pensare che, davvero, tra qualche anno, chiunque di noi possa essere arbitro, tanto a fare il nostro lavoro ci sarà la tecnologia.

Un amico ben più lungimirante di me direbbe in questo caso che il genere umano ha iniziato ad autodistruggersi ben prima del 2005, e il ritiro di Pierluigi Collina è solamente un’altra pietra sul lungo lastricato verso l’estinzione. Non so se sia così, certo è che da anni nei salotti radical chic e non solo si parla del fenomeno della disintermediazione, e di come stia sconvolgendo la nostra società.

Ed è tutto vero. Non andiamo in un’agenzia di viaggi per organizzare un tour della Patagonia, non chiediamo al professore per avere un’informazione, usiamo Wikipedia, non ci fidiamo del politico genericamente ladro, non ci affidiamo al quotidiano, ma al web, non rispettiamo neppure più un arbitro con decine di anni di carriera alle spalle, perché è un essere umano. E gli esseri umani possono sbagliare.

Non accettiamo neanche questo, l’errore nel Ventunesimo secolo non deve esistere, va immediatamente corretto.

E se è l’autorità a sbagliare, deve sparire.

Saggio è chi pensa. L’arbitro non può essere saggio. Deve essere impulsivo. Deve decidere in tre decimi di secondo

Pierluigi Collina

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