L'11 settembre 2001 il mondo riscopriva il potere delle immagini: un attentato terroristico demoliva le Torri Gemelle di New York, e con esse la spavalda sicurezza dell'America, dell'amministrazione Bush; lasciando il posto al terrore.
Politica, Società

Guerra al Terrore

L’11 settembre 2001 il mondo riscopriva il potere delle immagini: un attentato terroristico demoliva le Torri Gemelle di New York, e con esse la spavalda sicurezza dell’America, dell’amministrazione Bush; lasciando il posto al terrore.

Il terrore è una sensazione che non ha nulla di fisico o di concreto, è come l’orribile mostro di un film horror, che resta nascosto nell’ombra e lascia intravedere soltanto qualche disgustosa parte di se stesso.

L’11 settembre 2001 le immagini delle Torri Gemelle, che si accartocciavano lentamente, devastate dalle esplosioni, diventarono l’emblema del terrore. I simboli della civiltà americana sparivano, privati del loro valore.

Il vuoto del World Trade Center veniva immediatamente riempito dal costante ripetersi delle video riprese dell’attentato, sulle televisioni di tutto il mondo. E così, in pochi minuti, ognuno di noi conobbe il terrore.

Il 20 settembre 2001 il Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, utilizzò per la prima volta la terminologia “guerra al terrore“, senza rendersi conto della totale assenza di significato di una metafora che decise di mettere concretamente in atto.

Il terrore non è un qualcosa di identificabile con un mirino o un radar, di conseguenza il passo successivo della leadership occidentale fu individuare chi potesse incarnare al meglio quel diffuso sentimento, per annichilirlo.

La storia, più o meno, la conosciamo tutti. Gli Stati Uniti accusarono l’Iraq, e nello specifico il suo crudele dittatore, Saddam Hussein, di detenere armi biologiche di distruzione di massa. Mai individuate o ritrovate.

La “guerra al terrore” ebbe ufficialmente inizio, tra controverse campagne militari e spettacolarizzazioni mediatiche spesso controproducenti. Nel marzo del 2003 l’Iraq venne invaso dalle truppe statunitensi.

Nell’aprile del 2004, il terrore si arricchì di nuovi volti. A circa 32 chilometri a ovest di Baghdad, si trova un’altra città, Abu Ghraib, dove è collocata l’omonima prigione. I soldati americani la utilizzarono per seviziare, torturare, sodomizzare e uccidere i detenuti.

Un’altra immagine divenne il simbolo della “guerra al terrore“, della guerra in Iraq: quella di un ignoto prigioniero incappucciato, in piedi su una scatola dalla quale non può muoversi, per non subire gli effetti di una violenta scossa elettrica ai genitali.

L’uomo incappucciato di Abu Ghraib divenne una sorta di moderna icona cristologica, vittima di indicibili torture e di violenze psicologiche messe in atto da quel mondo occidentale che combatteva il terrore, che lo temeva, e di certo non lo praticava.

L’America conobbe dunque il terrore delle proprie azioni. Gli Americani si confrontarono inevitabilmente con l’evidenza dei fatti, con le violazioni dei diritti umani che trovavano le loro radici anche nelle più alte cariche militari. Al Ministro della Difesa, Donald Rumsfeld.

Nel 2008 Barack Obama prese le redini degli Stati Uniti, e durante il secondo anno del suo mandato decise di sollevare il grande tappeto della memoria popolare, per nascondervi le tracce della “guerra al terrore“.

Dal 2009 questo termine non esiste più. Almeno ufficialmente è stato sostituito dalla dicitura “operazioni d’oltremare“. Che più o meno ha lo stesso significato della precedente. Nessuno.

Le immagini di Abu Ghraib hanno portato i responsabili di fronte alla corte marziale. I responsabili delle torture, dite? No, no. La violazione di cui sono stati accusati consisteva nell’aver scattato le fotografie all’interno della prigione. Coloro che hanno perpetrato violenze, sevizie, torture e omicidi, sono ignoti. Impuniti.

L’archivio fotografico di Abu Ghraib è stato in seguito rapidamente sigillato. Impedire la circolazione delle immagini già trapelate sarebbe stato impossibile, quindi si è provveduto affinché non ne venissero rese note altre.

Perché l’America vuole dimenticare. Perché non è in grado di capacitarsi come da vittima del terrore, ne sia diventata artefice. Forse, in un momento come questo, sarebbe meglio ricordare le immagini del passato.

Tra un atto esecutivo esplicitamente razzista e l’elezione di un burattino delle destre radicali, forse gli Americani dovrebbero confrontarsi con la loro memoria, per non replicare quegli atti disumani che hanno radicalmente segnato ognuno di noi.

Invece, la “guerra al terrore“, inutile, vana, continua.

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